A Italia Wave il caldo è una morsa che ti opprime, una mano guantata d'acciaio che ti spinge a terra. Sulla piana creata con i detriti dell'alluvione del '66 si ergono i palchi, gli stand, i mercatini, le tende. Non un albero, non un'ombra, non un cesso che non somigli a una centrale atomica o a una cabina suicidi di Futurama. Il sole picchia impietoso, mentre si annaspa cercando di non inciampare nei frammenti di case spazzate via dalla furia dell'Arno decine d'anni fa. Nel parcheggio per poco non mi procuro una stimmata con un pezzo di ferro affiorante, mentre Luca alla sera del terzo giorno trova la testa sfondata di una Cabbage Patch Kid e la infilza sulla punta di un bastone, mostrandola in giro come farebbe un ragazzo selvaggio col cranio del Signore delle Mosche. Il tendone della mostra è una serra, ma è abitata dagli Iukkers di XL e da un indomito manipolo di standisti, editori, discografici e ragazzi dell'organizzazione. Uno spazio che si popola di volti, braccia e schiene, che io, Diavù, Ratigher, Massimo, Baroncia e Maicol&Mirco ci indaffariamo a pittare con i nostri figlioletti. Concentrarsi, spostare l'azimut dei propri sensi dalla sofferenza del calore al piacere della percezione del pennello che scorre sulla pelle di una persona felice che in quel momento allo stand c'eri proprio tu. Consuelo, Grazia, Marta, Pamela, Sara, Irene... pitto e dedico, dedico e pitto, alle volte sotto gli occhi attenti dei partners o degli amici o a volte solo, a chiacchierare con una persona che si concede a un insolito momento di intimità con uno sconosciuto che ha stabilito un contatto con loro attraverso una rivista e una manciata di tavole pubblicate su essa. Mi piace parlare, dare nomi ai loro corpi, sapere che fanno, cosa studiano, da dove vengono, grato della loro presenza. Mentre Lorenza fotografa senza sosta, le ragazze dello stand esterno passano a recuperare acqua e adesivi, sempre sorridenti. Andrea ci tiene compagnia. I suoni dei concerti spezzano il brusio di sottofondo di questa o quella presentazione, dj autogestito o spettacolo.
Sotto di noi, la memoria perenne di una distruzione immane. Innanzi a noi, la celebrazione della vita sciama in ogni direzione, fottendosene di quel deserto di terra e ferro.
Non so perché. Ma. Quando guardo fuori. Dallo stand. Per un attimo. Penso solo.
A San Martino del Carso e ad Eterno, di Ungaretti.
E' il mio cuore il paese più straziato.A San Martino del Carso e ad Eterno, di Ungaretti.
Tra un fiore colto e l'altro donato
l'inesprimibile nulla.
Stay tuned.
2 commenti:
Diosanto, quel caldo era innaturale! Rendeva l'atmosfera quasi onirica... un festival sul pianeta Mercurio, direi!
Ciao Alberto!
Ciao Salz,
puoi dirlo forte, l'unico ad essere in visibilio per un tale panorama di devastazione era Morto!
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