Odio le polemiche.
E mi rendo conto che quanto scrivo di seguito ne ha l'aspetto formale, di una polemica.
E mi rendo conto che quanto scrivo di seguito ne ha l'aspetto formale, di una polemica.
Ma resto sconcertato quando leggo e sento certa critica e varie recensioni tacciare di reazione il nuovo film tratto da uno dei capolavori di Frank Miller, 300. Film che premetto non ho ancora visto, ma per cui ritengo sia doveroso spendere due parole su un background, quello storico a cui si riferisce prima il libro e poi la pellicola, che altrimenti rischia di essere dimenticato a favore di ben più sterili diatribe, politiche e di costume.
Hanno accusato 300 di essere un film politico e di propaganda antiiraniana, dicono che il premier iraniano Mahmud Ahmadinejad sia andato fuori di testa alla visione della pellicola, che a quanto pare descrive i persiani come un'orda di omosessuali piercinati. Sono in molti in questi giorni a consigliare a Miller di starsene nel proprio, che alla fine già che ci siamo anche Sin City, seppur più pacato, era un film sterile e ridondante che sfoggiava violenze fini a sé stesse e di stampo destrorso (come dire che Ellroy, Hammett, McBain etc sono una manica di fascisti). Hanno detto che a confronto di 300, l'italian peplum si riscatta e ambisce a un suo decoro (peccato nel mazzo ci siano film come Il colosso di Rodi diretto da Sergio Leone).
Si dimenticano che Zack Snyder, il regista, è tutt'altro che reazionario, se pensiamo che ha rispolverato con verve impressionante e gusto splendido la saga degli zombie di George Romero (uno dei registi più politici e antiestablishment di sempre) con L'Alba dei Morti Viventi, e che sta ora realizzando Watchmen, tratto dall'opera magna del duo Alan Moore & Dave Gibbons e lavoro tutt'altro che politically correct.
Bene (si fa per dire).
A mio avviso i veri film politici e di propaganda, che l'America reazionaria ha prodotto in questi anni sono tra i vari, pellicole come Godzilla di Roland Emmerich, Il Gladiatore di Ridley Scott per non parlare del roboante Pearl Harbour di Michael Bay e financo un film a doppio taglio come L'esorcismo di Emily Rose.
Ma è su Il gladiatore, dato che il titolo di questo post è "American Peplum" che vorrei spendere due parole in più: che la matrice imperialista romano-antica sia la medesima dell'imperialismo americano attuale (e con imperialismo non faccio riferimento a un termine solo politico che in sé ha un amaro retrogusto di retorica ormai trascorsa, ma alla reale portata del concetto di Impero, dal "dividi et impera" alla "tabula rasa" di cui già un Reagan fu valido vessillifero, George Bush araldo e George W. Bush tragico esecutore) è palese, che il film apra con il massacro (non la sconfitta) dei germanici, INVASI dai Romani con la pretesa di PACIFICARE le "province" è di per sé orripilante, svelando un meccanismo ancor più perverso, allorché scopriamo che il generale Massimo Decimo Meridio è lui stesso un barbaro, provenendo dalla Spagna, nazione che era, al momento dell'annessione all'Impero Romano, ibera e celta.
Nemmeno la critica cosiddetta di sinistra si è sprecata a dir due parole sulla legittimizzazione della conquista implicita nella pellicola. Ma forse questo è dovuto al fatto che quelli sterminati, poi buttati nel Colosseo e via dicendo, non solo sono barbari (che guarda caso è un termine esclusivamente GRECO che indica tutti coloro che non sono greci, in primo luogo i Romani), ma anche "crucchi", cioé quei popoli che a me personalmente hanno insegnato a disprezzare sin da bambino a scuola perché associati all'idea di nazismo (la mia maestra era una suora, alle medie preti, tutti della stessa idea, al liceo la storia dell'arte medievale, perché barbara, ci venne fatta saltare a pié pari, e lo stesso avveniva in tutte le sezioni). Quindi l'idea che al suolo ci restassero un po' di barbari trogloditi e cenciosi e che a trionfare fosse Roma "Roma Vittoriosa!" (strillato da un eccitato Russel Crowe) di cui tutti gli italiani teoricamente sono diretti discendenti dev'esser parso logico o peggio, aver suscitato indifferenza vista la distanza quasi millenaria con i fatti narrati (180 d.C.).
Peccato che quelli barbaramente massacrati, invasi e resi schiavi, fossero i NOSTRI antenati, dato che come l'Europa, anche l'Italia dal Sud al Nord non è MAI stata romana, ma da Roma è stata conquistata, inglobata, distrutta, spopolata, etnicamente riallineata, sgrammaticata e deterritorializzata dalla macchina guerrafondaia dell'Impero che tanto fa impettare vari accademici studiosi di "classicismo" e che sgraditamente ho conosciuto in ambito universitario.
Questo valse per tutta l'Italia, dai Veneti, Galli Cenomani, Galli Cisalpini, quindi Celti del Nord Italia passando per Etruschi -primi signori di Roma, conquistatori a loro volta conquistati-, Apuli -pugliesi-, fino ai Sicani -siciliani-. Ora sulle implicazioni socio-politiche de Il gladiatore chi si scaglia sull'opera di Snyder / Miller non spese UNA parola. Mentre ne hanno molte da spendere su 300.
Mi pare che il problema sia che scansare la storia faccia comodo, mentre appoggiarsi alla politica o a una presunta etica/morale è abitudine e praticità al contempo, dato che "POLICY IS APOLOGY", per cui detta una stronzata ce la si scrolla di torno come niente fosse.
Gli Spartani erano di per sé un popolo agghiacciante, militarista e razzista nei confronti di tutta la Grecia, per cui prenderli a soggetto significa fare una scelta ben precisa, esaltando un orrore (vedi la Rupe Tarpea / Taigeto) fino a portarlo al paradosso, lasciando solo la luce della gloria ad aureolare i corpi perfetti di uomini che vivevano e morivano con un solo scopo: combattere per sempre. Miller nel suo romanzo grafico lo fa in modo esemplare, con tutta la passione di chi guarda alla morte e al sangue come NON a un ideale, ma a una materia viva che riguarda tutta la cultura del mondo, in particolar modo occidentale, cosa che fanno tutti i narratori di razza, di cui Miller è tra gli eccelsi ed eclettici rappresentanti. E intendiamoci, qui non parliamo di diatribe ben più pesanti come quelle scatenate al tempo dalla letteratura di Celine, ma di un film che viene etichettato come fenomeno di costume vuoto e per alcuni versi gratuito solo perché reo di essere
A Americano (e quindi connesso all'attuale politica statunitense)
B ricco di effetti speciali
C e soprattutto C, tratto da un fumetto (che diciamocelo, non potrà mai essere roba seria o letteratura).
Per quanto riguarda la presunta omofobia... Miller, che è uno che si documenta, avesse voluto insultare i Persiani / Iraniani, avrebbe scelto qualcosina di diverso dal Battaglione Sacro di Sparta... Composto da coppie di uomini amanti l'uno dell'altro... in modo che il compagno fosse stretto al compagno in un legame di amore, morte e sacrificio, senza mai abbandonare il partner, neppure una volta morto, senza mai retrocedere di un passo. (Consiglio, tra le varie, la lettura di un tale Erodoto, Storie, libro VIII, che morì in Italia, Magna Grecia, e visse nel V sec a.C.). I persiani, dal canto loro, furono un popolo che di un'ambiguità tutt'altro che ambigua, perché considerata al tempo l'unica vera espressione d'amore (cioé uomo-uomo) fecero comunque un certo eccesso per i tempi, dato che stravolsero i canoni del vestire di allora. In particolar modo in Asia, ma anche nel resto del mondo, gli uomini in antico portavano quelle che noi definiremmo gonne (certo erano toghe / tuniche... non si possono proprio chiamare gonne... avete presente gli scozzesi (celti anche loro)? Caso isolato nella storia del mondo? Come no, sono d'accordo anche tutti gli ordini monastici o gli attuali soldati greci), le donne i pantaloni... certo non proprio con i tagli dei giorni nostri, ma erano pantaloni (indossati a mo' di gambaletti sotto una tunica a taglio corto). Una lettura abbastanza recente oltre che un bel romanzo storico che ne fa menzione è Turms l'Etrusco (Thurms Kuolematan, 1956) di Mika Waltari [finlandese, nato nel 1908 e morto nel 1979. Ritenuto da molti l'artefice della narrativa storica, quando nel 1945 scrisse Sinhue l'egiziano (Sinhue Egyptilainen)].
Quindi allora tutto bene tutto a posto? No, non credo, bisogna ancora vedere il film e magari nonostante tutto dovrò concordare con qualche critica, oppure no, vedremo. Ma penso che premettendo quanto scritto finora forse l'ottica della visione di 300 potrà prendere una piega magari diversa, sempre ricordando a certi "critici" che i Persiani nel 480 a.C. stavano invadendo la Grecia, quindi il fatto che la più grande macchina bellica del mondo di allora ispirasse terrore e che i greci vedessero il nemico con crescente paura era nel gioco delle cose allora come ora che noi, quali spettatori, assistiamo tramite gli occhi dei 300 all'arrivo degli Immortali di Serse.
Si dimenticano che Zack Snyder, il regista, è tutt'altro che reazionario, se pensiamo che ha rispolverato con verve impressionante e gusto splendido la saga degli zombie di George Romero (uno dei registi più politici e antiestablishment di sempre) con L'Alba dei Morti Viventi, e che sta ora realizzando Watchmen, tratto dall'opera magna del duo Alan Moore & Dave Gibbons e lavoro tutt'altro che politically correct.
Bene (si fa per dire).
A mio avviso i veri film politici e di propaganda, che l'America reazionaria ha prodotto in questi anni sono tra i vari, pellicole come Godzilla di Roland Emmerich, Il Gladiatore di Ridley Scott per non parlare del roboante Pearl Harbour di Michael Bay e financo un film a doppio taglio come L'esorcismo di Emily Rose.
Ma è su Il gladiatore, dato che il titolo di questo post è "American Peplum" che vorrei spendere due parole in più: che la matrice imperialista romano-antica sia la medesima dell'imperialismo americano attuale (e con imperialismo non faccio riferimento a un termine solo politico che in sé ha un amaro retrogusto di retorica ormai trascorsa, ma alla reale portata del concetto di Impero, dal "dividi et impera" alla "tabula rasa" di cui già un Reagan fu valido vessillifero, George Bush araldo e George W. Bush tragico esecutore) è palese, che il film apra con il massacro (non la sconfitta) dei germanici, INVASI dai Romani con la pretesa di PACIFICARE le "province" è di per sé orripilante, svelando un meccanismo ancor più perverso, allorché scopriamo che il generale Massimo Decimo Meridio è lui stesso un barbaro, provenendo dalla Spagna, nazione che era, al momento dell'annessione all'Impero Romano, ibera e celta.
Nemmeno la critica cosiddetta di sinistra si è sprecata a dir due parole sulla legittimizzazione della conquista implicita nella pellicola. Ma forse questo è dovuto al fatto che quelli sterminati, poi buttati nel Colosseo e via dicendo, non solo sono barbari (che guarda caso è un termine esclusivamente GRECO che indica tutti coloro che non sono greci, in primo luogo i Romani), ma anche "crucchi", cioé quei popoli che a me personalmente hanno insegnato a disprezzare sin da bambino a scuola perché associati all'idea di nazismo (la mia maestra era una suora, alle medie preti, tutti della stessa idea, al liceo la storia dell'arte medievale, perché barbara, ci venne fatta saltare a pié pari, e lo stesso avveniva in tutte le sezioni). Quindi l'idea che al suolo ci restassero un po' di barbari trogloditi e cenciosi e che a trionfare fosse Roma "Roma Vittoriosa!" (strillato da un eccitato Russel Crowe) di cui tutti gli italiani teoricamente sono diretti discendenti dev'esser parso logico o peggio, aver suscitato indifferenza vista la distanza quasi millenaria con i fatti narrati (180 d.C.).
Peccato che quelli barbaramente massacrati, invasi e resi schiavi, fossero i NOSTRI antenati, dato che come l'Europa, anche l'Italia dal Sud al Nord non è MAI stata romana, ma da Roma è stata conquistata, inglobata, distrutta, spopolata, etnicamente riallineata, sgrammaticata e deterritorializzata dalla macchina guerrafondaia dell'Impero che tanto fa impettare vari accademici studiosi di "classicismo" e che sgraditamente ho conosciuto in ambito universitario.
Questo valse per tutta l'Italia, dai Veneti, Galli Cenomani, Galli Cisalpini, quindi Celti del Nord Italia passando per Etruschi -primi signori di Roma, conquistatori a loro volta conquistati-, Apuli -pugliesi-, fino ai Sicani -siciliani-. Ora sulle implicazioni socio-politiche de Il gladiatore chi si scaglia sull'opera di Snyder / Miller non spese UNA parola. Mentre ne hanno molte da spendere su 300.
Mi pare che il problema sia che scansare la storia faccia comodo, mentre appoggiarsi alla politica o a una presunta etica/morale è abitudine e praticità al contempo, dato che "POLICY IS APOLOGY", per cui detta una stronzata ce la si scrolla di torno come niente fosse.
Gli Spartani erano di per sé un popolo agghiacciante, militarista e razzista nei confronti di tutta la Grecia, per cui prenderli a soggetto significa fare una scelta ben precisa, esaltando un orrore (vedi la Rupe Tarpea / Taigeto) fino a portarlo al paradosso, lasciando solo la luce della gloria ad aureolare i corpi perfetti di uomini che vivevano e morivano con un solo scopo: combattere per sempre. Miller nel suo romanzo grafico lo fa in modo esemplare, con tutta la passione di chi guarda alla morte e al sangue come NON a un ideale, ma a una materia viva che riguarda tutta la cultura del mondo, in particolar modo occidentale, cosa che fanno tutti i narratori di razza, di cui Miller è tra gli eccelsi ed eclettici rappresentanti. E intendiamoci, qui non parliamo di diatribe ben più pesanti come quelle scatenate al tempo dalla letteratura di Celine, ma di un film che viene etichettato come fenomeno di costume vuoto e per alcuni versi gratuito solo perché reo di essere
A Americano (e quindi connesso all'attuale politica statunitense)
B ricco di effetti speciali
C e soprattutto C, tratto da un fumetto (che diciamocelo, non potrà mai essere roba seria o letteratura).
Per quanto riguarda la presunta omofobia... Miller, che è uno che si documenta, avesse voluto insultare i Persiani / Iraniani, avrebbe scelto qualcosina di diverso dal Battaglione Sacro di Sparta... Composto da coppie di uomini amanti l'uno dell'altro... in modo che il compagno fosse stretto al compagno in un legame di amore, morte e sacrificio, senza mai abbandonare il partner, neppure una volta morto, senza mai retrocedere di un passo. (Consiglio, tra le varie, la lettura di un tale Erodoto, Storie, libro VIII, che morì in Italia, Magna Grecia, e visse nel V sec a.C.). I persiani, dal canto loro, furono un popolo che di un'ambiguità tutt'altro che ambigua, perché considerata al tempo l'unica vera espressione d'amore (cioé uomo-uomo) fecero comunque un certo eccesso per i tempi, dato che stravolsero i canoni del vestire di allora. In particolar modo in Asia, ma anche nel resto del mondo, gli uomini in antico portavano quelle che noi definiremmo gonne (certo erano toghe / tuniche... non si possono proprio chiamare gonne... avete presente gli scozzesi (celti anche loro)? Caso isolato nella storia del mondo? Come no, sono d'accordo anche tutti gli ordini monastici o gli attuali soldati greci), le donne i pantaloni... certo non proprio con i tagli dei giorni nostri, ma erano pantaloni (indossati a mo' di gambaletti sotto una tunica a taglio corto). Una lettura abbastanza recente oltre che un bel romanzo storico che ne fa menzione è Turms l'Etrusco (Thurms Kuolematan, 1956) di Mika Waltari [finlandese, nato nel 1908 e morto nel 1979. Ritenuto da molti l'artefice della narrativa storica, quando nel 1945 scrisse Sinhue l'egiziano (Sinhue Egyptilainen)].
Quindi allora tutto bene tutto a posto? No, non credo, bisogna ancora vedere il film e magari nonostante tutto dovrò concordare con qualche critica, oppure no, vedremo. Ma penso che premettendo quanto scritto finora forse l'ottica della visione di 300 potrà prendere una piega magari diversa, sempre ricordando a certi "critici" che i Persiani nel 480 a.C. stavano invadendo la Grecia, quindi il fatto che la più grande macchina bellica del mondo di allora ispirasse terrore e che i greci vedessero il nemico con crescente paura era nel gioco delle cose allora come ora che noi, quali spettatori, assistiamo tramite gli occhi dei 300 all'arrivo degli Immortali di Serse.